ESCLUSIVA FM – Rampulla: “Champions ’96? Conseguenza di anni al Top. Il Triplete non basta…”

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Una vita nella Juventus. Michelangelo Rampulla ha segnato un’epoca, probabilmente la più vincente dei bianconeri quella dal 1992 al 2002, spesso in panchina, dietro agli altri, quelli che si prendevano le copertina, ma lui era lì pronto quando chiamato in causa ad essere decisivo e determinante per la maglia che fin da bambino sognava di indossare, quella bianconera della Juventus.

In ESCLUSIVA ai microfoni Fantamaster.it Michelangelo Rampulla ha ripercorso con noi la sera del 22 maggio 1996 quando a Roma, davanti ad uno Stadio Olimpico vestito a festa per la finale di Champions League tra Juventus e Ajax, la Juve di Marcello Lippi alzò al cielo la Coppa Campioni.

La seconda della sua storia, ma la più importante che coronò, probabilmente, i grandi traguardi raggiunti da quella squadra per undici anni.

Rampulla, che aria si respirava prima di quella finale?

“L’aria era quella di grande fiducia. Eravamo molto carichi c’era entusiasmo magari poteva esserci sfiducia per qualche coppa sfiorata negli anni precedenti, ma siamo arrivati a Roma carichi e consapevoli della nostra forza. Gli allenamenti sono stati tutti ad un livello altissimo: andavamo al 200%. Segni particolari che sarebbe andato tutto alla grande? In particolare nulla, bastava guardarci negli occhi per capire che sarebbe andato tutto bene”.

Quanto fu determinante Lippi?

“Lippi ci diceva di avere la carica agonistica giusta una volta scesi in campo. Non ricordo le parole esatte del suo discorso pre-partita, ma ricordo che ci infusero tanto coraggio. Ha tirato fuori il massimo da tutti noi. In queste partite poi non serve caricare in maniera particolare. E’ la finale si prepara da sola. Lippi era giovane, ma quell’anno arrivammo alla fine in tre competizioni: due vinte (Campionato e Champions League) e una persa (Coppa Italia). Era giovane al tempo, ma era un allenatore in rampa di lancio. Credo che il suo segreto fosse quello che di ascoltare e chiedere consiglio a tutti, poi lui prendeva le decisioni e ci infondeva sicurezza. Nonostante fosse giovane si rapportò alla grande con tutti quei campioni”.

Fu importante per voi caricare i singoli, i campioni di quella rosa: Del Piero, Vialli, Ravanelli…?

“Assolutamente no. Niente singoli, la cosa importante è il gruppo, nessuno ha coccolato il campione da solo perché non si vince da soli, ma di squadra. Eravamo uniti in quel gruppo”.

Il gol di Ravanelli è stata una liberazione, ma quel pallone sembrava non voler entrare…

“E’ vero (ride ndr). Quando ha tirato di destro (non proprio il suo piede preferito), sbilanciato e in posizione defilata un po’ di timore che non entrasse c’era. La palla rotolava così lentamente che finché non l’abbiamo vista entrare non ci siamo mossi in panchina”.

Il suo ruolo, rispetto a quello di altri panchinari, era un po’ più complesso: sapeva che non sarebbe entrato a meno di problematiche particolari per Peruzzi. Come si è comportato?

“Io cercavo di incitare tutti. Molte volte i compagni che ti passano vicino cerchi di motivarli e dargli una voce per l’attenzione. Cercavo di fare la mia parte in quel modo. Molte volte chi gioca si dimentica qualche passaggio di consegne, non sente l’allenatore tra il frastuono dello stadio e allora suggerisci cosa fare, cerchi di infondere sicurezza. Ero tranquillo e cercavo di incitare e aiutare Lippi, molti allenatori come lui chiedono a chi in panchina di aiutarli a comunicare con la squadra in campo”.

Torniamo alla finale. Il gol di Ravanelli, l’1-1 alla fine dei tempi regolamentari, i supplementari… una partita infinita: non avevate paura che qualcosa andasse storto?

Finale della UEFA Champions League 1995-1996 - Wikipedia

“Paura? No, un po’ di timore sì. Sbagliammo tre/quattro occasioni da gol e c’era un po’ di timore perché quando non concretizzi rischi poi di perderla, ma ai rigori è scattato qualcosa: c’era la convinzione che sarebbe andata bene. Cosa ho detto a Peruzzi prima dei rigori? Non gli ho detto tante parole sui rigoristi, lo avrei confuso era meglio tranquillizzarlo: abbiamo parlato da soli io, lui e Ivano Bordon (il preparatore dei portieri ndr.). Gli abbiamo detto solo di restare fermo fino alla fine e di aspettare una mossa dell’avversario prima di buttarsi. Sembra un consiglio stupido, ma lui aveva una grande esplosività e reattività avrebbe potuto pararli anche aspettando qualche momento in più prima di scegliere un lato. Gli altri erano tranquilli? A me sembravano tutti tranquilli, apparentemente sembravano sereni. Il giocare in casa con il pubblico tutto dalla nostra parte secondo me ci ha aiutati”.

Quella squadra poi fu rivoluzionata. Un peccato oppure serviva cambiare qualcosa?

File:Juventus FC - Champions League 1995-96 - Ravanelli, Deschamps ...

“Parto da un principio: squadra che vince non si cambia. C’è però da mettere anche la motivazione sulla bilancia, servono motivazioni con gente nuova e forse per la routine della squadra mettere qualche giocatore di livello in più poteva caricare quei campioni che avevano vinto tanto. Quando noi perdevamo pezzi eravamo un po’ tristi ma i dirigenti, l’allenatore e la squadra (dai magazzinieri all’attaccante titolare) sono stati tutti bravi a sopperire a queste assenze e restare ad alti livelli con innesti di altissimo livello. Perdere Baggio, Ravanelli e Vialli è dura ma se poi confermi Del Piero e compri Boksic, Vieri e Zidane vuol dire che punti in alto…”.

Undici anni di successi, quella Juventus vinse “poco” rispetto alle sue qualità?

File:Juventus FC - Champions League 1995-96.jpg - Wikipedia

“Assolutamente no. Certo qualche Champions in più potevamo vincerla, ma noi abbiamo fatto veramente cose incredibili in quegli anni. Sento tanto parlare di Triplete dell’Inter, ma noi il 22 maggio 1996 vinciamo la Champions League e la stagione dopo ancora il Campionato, poi Supercoppa Italiana, Supercoppa Europea, Coppa Intercontinentale, semifinale di Coppa Italia e finale di Champions, ancora. Noi allora abbiamo fatto Sestuplete? Nel ’92-’93 vincemmo la Coppa UEFA quando a giocarla erano la seconda, la terza e la quarta dei campionati europei più importanti. Poi nel ’94-’95 finale di Coppa UEFA persa col Parma e poi tre finali di finale di Champions League consecutive (due perse e una vinta) e le semifinali nel ’99”.

Il Triplete dell’Inter non è paragonabile ai risultati di quella Juventus?

“L’Inter ha vinto solo quell’anno, non ha avuto una continuità di risultati come la Juventus. Vincere per anni è grande programmazione, un anno solo oltre alla indubbia bravura è anche fortuna se gli altri anni poi non vinci. Quell’Inter avrebbe dovuto continuare un ciclo di grandi vittorie nazionali e intercontinentali, invece si fermata lì. E’ difficile arrivare ma è ancora più difficile rimanere in alto. Poi sento tanto esaltare il Triplete dove, ovviamente c’è anche la Coppa Italia, quella Coppa che non considerava nessuno? Mai fino alle semifinali, allo stadio ho visto partite con 100-200 spettatori prima di arrivare al dunque. La Coppa Italia, per noi, era l’allenamento per il campionato”. 

Questo è un anno particolare per il calcio, ma la Juventus di Sarri può ambire alla Champions League?

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“Negli anni particolari la Juve emerge. Secondo me per rimanere a certi livelli serve uno zoccolo duro di italiani: chi arriva da fuori si impegna soltanto perché gioca nella Juventus, ma essere italiano e sapere la storia della Juve ti forma e ti aiuta di più perché ne capisci la vera importanza. Lo zoccolo duro italiano sta venendo un po’ a mancare, ma i campioni ci sono e serve anche fortuna per vincere. Io credo che questa Juve può vincere, ma servono anche più italiani in squadra. Guardate cosa sta facendo Conte all’Inter: sta costruendo una base solida di italiani per il futuro, questo la dice lunga”.

L’ultima domanda. Ha mai giocato al Fantacalcio? Cosa ne pensa?

“Sì, lo conosco ma non ci ho mai giocato. Non ero mai d’accordo con i voti sui giornali. Preferivo non innervosirmi leggendoli, quindi non avrei mai potuto fare il Fantacalcio (ride ndr.)”.